Prospetto fonologico delle principali varietà dialettali d’area tifernate

Una breve introduzione

Dato che non è sempre facile reperire in rete materiale tecnico-scientifico sulla nostra zona (e dato pure che anche a livello accademico gli «aggiornamenti» non si diffondono ovunque con pari celerità), ho voluto preparare uno specchietto riepilogativo deglʼinventari fonemici rilevati nei dialetti dʼarea tifernate (cioè Città di Castello e dintorni), secondo quanto prodotto più di recente dai fonetisti (con integrazioni personali).

È interessante notare, innanzitutto, che nelle parlate conservative si ha ovunque un numero di vocali superiore a quello dellʼitaliano (benché si trovino ancora descrizioni che parlano di sole sette), giungendo, talvolta, a un totale potenziale di undici fonemi vocalici, con rilevanza anche per la durata – effetto più o meno diretto dellʼinfluenza romagnola. Sùbito dopo cʼè da sottolineare la varietà riscontrata, fino a poco tempo fa liquidata forse troppo rapidamente. Grazie proprio allʼosservazione di tale molteplicità di esiti, infatti, è stato possibile comprendere meglio anche i registri urbani moderni, nei quali, a volte, non rimangono che delle «ombre» di certi fenomeni caratteristici (a causa della più avanzata italianizzazione). Tutto questo, infine, è stato utile (direi, anzi, indispensabile) per formulare una proposta di normalizzazione ortografica comune a tutta la zona, della quale mi sono occupato personalmente nel mio Vademecum dʼortografia dialettale per lʼarea tifernate.

Sperando di fare cosa gradita, condivido con voi questo mio prospetto. Per approfondimenti in merito alla distribuzione dei fonemi, alle realizzazioni fonetiche effettive e a più fini peculiarità qui non descritte, rimando alla bibliografia citata nella stessa pagina.

Matteo Nunzi

VOCALISMO (ACCENTATO)

Elementi costanti e caratterizzanti della zona castellana in senso ampio (e più in generale dellʼalto Tevere linguistico, anche toscano) sono innanzitutto lʼavanzamento di A accentata in sillaba libera (qui rappresentato da /æ/), lʼabbassamento di I, É, Ó, U in sillaba implicata (e in fine di parola, per I, U ed É) e lʼallungamento di È, A, Ò in originale sillaba implicata, cui può accompagnarsi o meno la degeminazione (detta anche scempiamento) della consonante «doppia» successiva, a seconda del dialetto (da cui i due filoni principali in cui è suddivisa la seguente descrizione). Sʼaggiunge, poi, la chiusura d’ogni È, Ò originariamente in sillaba libera.

Varietà con passaggio È, A, Ò + [C-C] → [VˑV-C]

Il castellano cittadino moderno (Ca1) semplifica il modello generale riscontrabile nelle parlate più conservative, per cui si hanno «soltanto» 8 fonemi vocalici:

/i, e, ɛ, æ, a, ɔ, o, u/

I fonemi /i, u/, in tutte le parlate «classiche», risultano esclusivamente in sillaba libera (dato che in altre posizioni I, U si sono abbassate) e, come /æ, a/, sono solo lunghi, mentre gli altri sono lunghi o brevi in base alla sillaba (cioè lunghi in sillaba libera, brevi in sillaba implicata). In fine di parola (sorvolando su forme apocopate e forestierismi) le vocali accentate si riducono a:

/e, ɛ, a, ɔ, o/.

Quando finali, nei modelli principali, tutte le vocali accentate sono lunghe.

Nei registri più italianeggianti, le vocali /e, o/ accentate in fine di parola e in sillaba implicata, derivate da I, U, stanno pian piano passando a /i, u/, a partire dalla posteriore, fatto che contribuisce a far scivolare la parlata verso una forma dʼitaliano locale.

Opposizioni del tipo [VVC-C] vs [VCː-C], proprie del caso di e, o «aperte» seguite da due consonanti diverse fra loro (di cui la prima è normalmente /m, n; s (z); r, l/), sono in via di neutralizzazione. Le occorrenze superstiti, non più sistematiche, invece d’esser interpretate come opposizioni vocaliche (al pari di quanto avviene altrove nella zona), possono venir risolte di volta in volta come opposizioni di lunghezza consonantica, ovvero considerando «doppia» la consonante allungata successiva a vocale breve.

Nel castellano rustico (Ca2), in particolare «periurbano» e (sud-)orientale, più conservativo, si ha un inventario fonologico a 9 fonemi (più un altro che vedremo poi). Tale quadro preannuncia quello di tipologia «lugnanese»¹ (o tifernate sud-occidentale) prevalente:

/i, e, ɛ, æ, a, ɒ, ɔ, o, u/

che in fine di parola si riducono a /ɛ, æ, a, ɔ/.

Qui /æ/ è anche il risultato di É in sillaba implicata e fine di parola, mentre lʼesito di I, U finali è /ɛ, ɔ/ (in Ca1 si hanno invece, rispettivamente, /ɛ/ ed /e, o/). Allʼelenco si può aggiungere già stabilmente il fonema /ɑ/, presente in «no, to’», soltanto finale e breve. Fra i fonemi interni, /i, ɛ, a, ɔ, u/ sono sempre lunghi, /ɒ/ è solo breve e gli altri sono lunghi o brevi in base alla sillaba.

In un castellano di campagna collocabile a nord(-ovest) di Città di Castello, fino ai margini dell’area linguistica di San Giustino capoluogo (questa già d’avvicinamento al dialetto di Sansepolcro), si possono riscontrare, in comune con la stessa, alcune diversità di lunghezza in fine di parola rispetto al solito, pur senza che ciò debba comportare un riassetto rilevante dei rapporti fonologici. Per la precisione, partendo dal modello di Ca1, si possono ritrovare in posizione finale tutte le brevi accentate che occorrono internamente (cioè /e, ɛ, ɔ, o/, con dunque soltanto /a/ ad essere lunga), con in più l’eventuale allineamento di /æ/ a /ɛ/ nelle forme apocopate. Sempre nelle stesse parlate, da I, U in finale di parola si hanno soprattutto /e, o/, ma con proferimenti in genere più bassi di quelli castellani cittadini, con oscillazioni più o meno ampie a seconda della zona, del parlante o del registro.

Varietà con allungamento di originali È, A, Ò + [C-C] ma senza scempiamento (o con riduzione solo parziale della lunghezza della geminata), dunque con risultato [VVC-C] (o [VVC-C]).

Il lugnanese prevalente (Lu) ha lo stesso inventario di Ca2, ma la possibilità d’opposizioni di lunghezza vocalica in sillaba implicata s’estende a tutte le geminate che seguono e, o «aperte» (per la mancanza dello scempiamento consonantico contestuale all’allungamento di È, A, Ò), così da avere [VVC-C] vs [VCˑ-C] (da notare la particolarità della presenza di consonante geminata dopo vocale lunga, in dipendenza dal timbro iniziale di questa). Ripetendo la lista, si hanno dunque:

/i, e, ɛ, æ, a, ɒ, ɔ, o, u/

e in fine di parola /ɛ, æ, a, ɔ/ (con l’aggiunta di /ɑ/).

Un certo tipo di lugnanese dall’accento marcato (Lu+) può mostrare realizzazioni brevi in finale di parola limitatamente agli esiti di I, U (dove risultano /ɛ, ɔ/, ricordiamo), e dunque, almeno teoricamente, contrasti di lunghezza vocalica pure in tale posizione, grazie alla contemporanea presenza, in parte garantita da termini apocopati, di e, o accentate finali «aperte» lunghe. Indichiamo queste ultime in Lu+ con /ɛɛ, ɔɔ/, rammentando che /æ/ è altresì risultato di É, con però la differenza, rispetto a Ca2 e Lu, che qui non sʼutilizzano /æ, ɒ/ per rappresentare il risultato di É, Ó in sillaba implicata, bensì /ɛ, ɔ/, essendo giunti a una parziale rimodulazione dellʼinventario.

La conseguente ipotesi d’interpretazione prevede(rebbe), quindi, 10 fonemi (più /ɑ/):

/i, e, ɛɛ, ɛ, æ, a, ɔ, ɔɔ, o, u/

con /ɛ, æ, a, ɔ, ɔɔ/ in fine di parola (esclusi, come sopra, i casi di vocali accentate che diventano finali per apocope).²

Che si verifichino o meno le nominate opposizioni potenziali, un inventario così organizzato è comunque preferibile, dato che altrimenti si romperebbe la corrispondenza delle due brevi finali con le analoghe brevi in sillaba implicata. Specificando ulteriormente: lʼopposizione è solo eventuale perché oggi può comunque esservi oscillazione di durata; cionondimeno, si può contare su una stabilità non trascurabile delle vocali brevi derivate da I, U.

Evoluzioni moderne

Allo stadio dʼitaliano locale, può venire a perdersi lʼavanzamento di A in sillaba libera (insieme allo scempiamento consonantico dopo originali È, A, Ò, dove in precedenza previsto) e quasi immancabilmente si neutralizzano in via definitiva le opposizioni del tipo [VVC-C] vs [VCː-C]. Quello che ne deriva è un sistema vocalico che si ferma ai sette elementi dellʼitaliano (: /i, e, ɛ, a, ɔ, o, u/), con soltanto la distribuzione a mantenersi –parzialmente– diversa dallo standard (prima della rinuncia pressoché completa a ogni carattere tipico tifernate, come ormai si nota in molti individui giovani e in qualche adulto).³

CONSONANTISMO

L’inventario è quello dell’italiano, ma con in più /c, ɟ/ e senza /ʎ/, del quale, di solito, occupa il posto /j/ (con [ʎ] presente solo sporadicamente nelle realizzazioni di /lj/ o in altri eventi occasionali). Inoltre, in luogo degli italiani /ʦ, ʣ/, troviamo /θ, ð/, più vicini alla realtà fonetica delle locali «z» (cui sʼaggiunge una pronuncia delle «s» alveolare, come nel Nord dʼItalia, e non dentale, come invece in italiano neutro o nel Centro-Sud). Si hanno, quindi, 24 fonemi consonantici:

/m, n, ɲ; p b, t d, c ɟ, k ɡ; ʧ ʤ; f v, θ ð, s z, ʃ; j, w; r, l/.

A questi può unirsi /ʒ/, che però è soltanto uno xenofonema, usato soprattutto per pronunciare forestierismi d’origine francese (come d’altronde avviene in italiano), sostituito da /ʤ/ nelle varietà popolari.

Una differenza distributiva significativa riguarda /ʃ/: questo, nelle parlate rustiche, può rappresentare tuttora (anche) l’esito di SJ, mentre in quelle più italianeggianti va prevalendo al suo posto /ʧ/.

(TRA)SCRIVERE IL DIALETTO

Riunire le varianti in trascrizione fonologica e questioni ortografiche

Per poter rappresentare in una forma in gran parte unificata le variazioni dialettali regolari di tutta la zona, parlando di trascrizioni IPA (sopratutto a uso lessicografico), è stato pensato un sistema diafonemico, che si propone qui.

Lʼapproccio diafonemico è ancor più utile a livello ortografico, al fine di scongiurare il moltiplicarsi delle varianti scritte. Le differenze nel vocalismo da una zona all’altra (e da un registro all’altro, talvolta) possono infatti produrre conseguenze significative anche all’atto di trasporre in lettere «normali» le parlate tifernati, se si vuol mantenere coerenza fonologica, specie quando si tratta d’accentazione (aspetto della scrittura che in ogni caso non può far affidamento sulle sole convenzioni dell’italiano, insufficienti a rappresentare le caratteristiche locali). Per ovviare a inconvenienti di questo tipo, uniformando almeno parzialmente la grafia, è stato intrapreso da qualche anno da chi scrive un tentativo di normalizzazione, basato sulle analisi fon(ema)tiche più recenti ed estese disponibili; questo ha già prodotto un primo insieme di convenzioni (derivato da un’iniziale proposta di Daniele Vitali), battezzato OMi-L (ovvero l’Ortografìa dela Mìnima in versione «letteraria»). Ulteriori soluzioni per un possibile utilizzo in un raggio più ampio sono allo studio.

Per approfondimenti si rimanda alle pubblicazioni riportate nei riferimenti di séguito elencati:

NUNZI Matteo 2022, Vademecum d’ortografia dialettale per l’area tifernate (secondo il sistema OMi-L – versione sintetica), Amazon

VITALI Daniele e PIOGGIA Davide 2016, Dialetti Romagnoli. Pronuncia, ortografia, origine storica, cenni di morfosintassi e lessico. Confronti coi dialetti circostanti. Consulenza fonetica di Luciano Canepari, Verucchio : Pazzini (qui il capitolo con la prima descrizione particolareggiata dei due modelli dialettali principali di Città di Castello e Lugnano)

VITALI Daniele 2020, Dialetti emiliani e dialetti toscani. Le interazioni linguistiche fra Toscana ed Emilia-Romagna e con Liguria, Lunigiana e Umbria. Prefazione di Luciano Giannelli. Appendice e consulenza fonetica di Luciano Canepari, Bologna : Pendragon

Note:

1. Aggettivo a volte usato, per comodità, per indicare tutta l’area linguistica locale di cui la frazione tifernate di Lugnano è circa il centro geografico.

2. Anche se non fatto per le altre varietà, è forse qui utile fornire qualche esempio, date le particolari combinazioni in fine di parola, le quali, pur essendo soggette, oggi, a molte oscillazioni, rimangono ancora potenzialmente rilevabili in alcuni parlanti, nelle seguenti modalità: /veˈdɛɛ, ˈsɛ, ˈmæ, ˈperɔɔ, ˈpjɔ/ «vedere, sì, me, però, più», nonché /ˈsɔɔ/ vs /ˈsɔ/ «(io) so, su» e /gioaˈdɛɛ, gioaˈdɛ, gioaˈdæ/ «giova adesso, giovedì, giova [a] dare»).

3. Un sistema «semplificato» a sette vocali era stato erroneamente attribuito, in passato (e a volte viene attribuito ancor oggi), anche alle parlate conservative, che però ora sappiamo produrre un quadro certamente più complesso, come sʼè potuto vedere poco sopra.

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